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Certe volte è meglio parlare di martore e cuculi

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Con le mani puoi saperci fare fin che vuoi, ma da lì a costruire le cattedrali con gli stuzzicadenti ce ne passa. Insomma, spiace proprio dirlo ma questa volta Mauro Corona ha inciuccato le quote. Il suo ultimo libro “La fine del mondo storto” ha di bello solo il titolo. Per il resto, buio. Dice che è un romanzo, ma del romanzo mancano gli elementi fondamentali: personaggi (zero, davvero) e trama (un giorno il mondo si sveglia e i combustibili sono finiti: che l’idea sarebbe anche bella, se poi venisse sviluppata in modo un po’ meno rachitico). Allora uno potrebbe infilarlo nella categoria dei saggi, se non avesse lo spessore della pellicina che si forma sul latte dopo che l’hai bollito. E’ come se Corona fosse lì a gambe divaricate  su un crepaccio, con un piede poggiato sul bordo del mondo che lo ha reso celebre (l’epopea contadina, la natura spigolosa ma giusta, le leggende e il misticismo dei semplici) e l’altro su qualcosa di sconosciuto. Puoi anche stare in equilibrio, ma non vai da nessuna parte. Il libro ha spunti interessanti ma è guardare volare una gallina: lei ci prova, tu speri, ma alla fine mica si alza.

Anche la scrittura di Corona è in qualche modo appannata – istintiva ma senza il solito ottimo lavoro di limatura – con una potenza immaginifica ben al di sotto della portata a cui eravamo stati abituati. La storia si trascina stanca, grigia come un pensionato. E così, quando l’hai chiuso, ti resta il sapore di un libro buttato giù alla veloce per esigenze di contratto. Un po’ poco, per un grande come lui. Peccato.

Written by andrea chatrian

29 ottobre 2010 at 19:07