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Il partito dei guai

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Oggi mi sono occupato anche io dell’ennesimo “Caso Lavoyer” che sta terremotando la politica valdostana. Non nello specifico – di quello ha già scritto Enrico Martinet – ma allargando lo sguardo al partito dell’assessore regionale alle Finanze, la Fédération autonomiste. Un partito che inciampa un po’ spesso negli scandali. Qui sotto c’è il pezzo uscito sulla Stampa con il titolo “Il partito dei guai, 10 anni di scandali targati Fédération” (no link, sorry).

“Agisci in modo che ogni tuo atto sia degno di diventare un ricordo”. Per la rubrica “l’aforisma del mese” nel numero di ottobre del giornale La Voix Autonomiste, i vertici della Fédération avevano scomodato nientemeno che il filosofo Immanuel Kant. E di ricordi, nella storia recente, il partito regionalista nato dall’abbraccio tra ex Dc ed ex socialisti ne ha lasciati tanti. Soprattutto nelle cronache giudiziarie.

Inciampi, equivoci e grattacapi che nell’ultimo decennio hanno coinvolto o sfiorato la gran parte dei big del partito. Quelli che ormai sono fuori dai giri che contano, come Silvestro Mancuso, ex assessore comunale finito sette giorni in carcere per una storia di peculato; quelli che hanno cambiato casacca come Mauro Baccega, “Mister 1248 preferenze” alle ultime Comunali aostane per la Stella Alpina, assolto nel 2002 dall’accusa di evasione fiscale quando assieme ad altri 21 imprenditori era il re dell’Aosta by night. La Finanza trovò i registri con gli incassi in nero, ma la legge era cambiata. Assolto.

E con l’esplosione dell’ultimo caso Lavoyer-Carradore la Fédération Autonomiste si trova a dover fare i conti con un primato poco invidiabile: quattro dei suoi cinque eletti (tre in Municipio, due in Consiglio Valle) sono al centro di scandali politico-giudiziari. Fuori dai guai c’è il solo Franco Napoli.

Già, perché proprio pochi giorni fa è cominciato a Torino il processo che vede imputati per turbativa d’asta il coordinatore del partito e consigliere regionale (oltre che ex sindaco del capoluogo) Leonardo La Torre e il consigliere aostano Salvatore Luberto. Una storia nata dai rifiuti, che risale a quando La Torre era assessore regionale alle Attività produttive e Luberto il potentissimo presidente dell’Azienda pubblici servizi aostana. Secondo il pm torinese Carlo Maria Pellicano, Luberto incaricato da La Torre fece pressioni sull’allora presidente dell’Amiat Giorgio Giordano perché la Allsystem di La Torre si aggiudicasse l’appalto dei servizi di sicurezza della municipalizzata torinese. La Allsystem vinse. Entrambi sono tranquilli e si dicono “estranei all’accusa”.

Ma adesso nell’occhio del ciclone ci sono Lavoyer e Carradore. E non è la prima volta perché prima del vortice di assegni i due si sono trovati in mezzo a un uragano di fatture pagate con i soldi della Regione quando lui era assessore al Turismo e lei la sua segretaria particolare. Soggiorni da sceicchi offerti a giornalisti in cambio di articoli pubblicitari. Per la regione, ma non solo. Come l’immortale servizio su Capital, firmato da Monica Setta, dedicato a Lavoyer. Il titolo? “E io sfido Cortina”.

(Che poi, avendo voglia e tempo, la letteratura sarebbe ancora più ampia…)

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“Sono tutti dei Zichichi quelli che parlano?”

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Le grandi verità di Salvatore “Turi” Agostino, il più valdostano dei calabresi, il più calabrese dei valdostani. (Qui il pezzo di Laura Secci per La Stampa).

Written by andrea chatrian

14 febbraio 2011 at 23:03

Entrare in politica, scalare il Consiglio regionale e scoprirlo dal proprio giornale

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Alessandro Camera oggi è stato così gentile da farmi diventare vicepresidente del Consiglio regionale della Valle d’Aosta. Sempre meglio che un assassino, comunque. Che giornata per gli Chatrian…

Ad ogni modo Albert può stare tranquillo, il suo posto non lo voglio.

Written by andrea chatrian

8 febbraio 2011 at 20:17

Ebbravo

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Il caso della professoressa incapace, raccontato da Cristian Pellissier, ha ispirato nientepopodimenoche il Buongiorno di Gramellini.

Bravo cispel.

Written by andrea chatrian

12 gennaio 2011 at 12:28

Chi si rivede

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Il pezzo scritto per La Stampa di oggi (refusino compreso) sul ritorno del Gipeto in Valle d’Aosta.

Attorno a loro hanno costruito una «bolla» di sicurezza proprio come si fa per gli ospiti di riguardo, ma senza muscoli e gorilla. Sono occhi e divieti a proteggere le due coppie di Gipeti che – dicono gli esperti – stanno per mettere su famiglia nell’Alta Valle d’Aosta: una tra La Thuile e Pré-St-Didier, l’altra a Rhêmes-Notre-Dame. Evento così raro e prezioso da aver spinto la Regione a bloccare l’accesso ad una cascata di ghiaccio molto amata dagli alpinisti (a Rhêmes) e a far cambiare rotta agli elicotteri del Soccorso alpino e a quelli che portano i turisti a godersi l’eliski.
Tutte queste precauzioni non devono stupire. Il Gipeto – il più grande volatile delle Alpi grazie alla sua apertura alare che sfiora i tre metri – sta facendo ritorno con molta fatica in Valle d’Aosta da dove a inizio Novecento era stato cacciato a fucilate. L’ultimo esemplare venne abbattuto (proprio nella Valle di Rhêmes) quando correva l’anno 1913. Da allora un lungo oblio fino alla metà degli Anni 80, quando dall’Austria partì un progetto di reintroduzione della specie sull’arco alpino. A più riprese vennero liberati animali in quattro aree protette: Alti Tauri, Stelvio, Mercantour (Alpi Marittime) e Alta Savoia. E dall’Alta Savoia alla Valle d’Aosta, il passo è breve. In questi anni gli avvistamenti si sono moltiplicati, ma di nidi neppure l’ombra. Fino allo scorso anno. «La coppia che si è installata a Rhêmes – spiega Paolo Oreiller, a capo del Dipartimento fauna selvatica della Regione – aveva già deposto un uovo nel gennaio 2010, ma il pulcino (come accade alle coppie più giovani) era morto. Questa volta speriamo di essere più fortunati». A La Thuile dovrebbe essere successo lo stesso, ma non ci sono prove. La reintroduzione del Gipeto procede con lentezza anche perché la maturità sessuale arriva dopo sei anni, la stagione riproduttiva (iniziata a novembre) è lunga e delicata e non vengono deposte più di una o due uova per volta.
Ma perché hanno scelto quelle due zone? «Sembra – continua Oreiller – che il Gipeto frequenti aree con rocce calcaree soprattutto per la nidificazione. La teoria non è confermata ma un elemento della sua validità sta proprio nelle zone che queste coppie hanno scelto per i loro nidi: sono tra le pochissime in Valle che presentano roccia calcarea». Le uova dovrebbero essere deposte verso la fine di gennaio, ma le misure di protezione sono già scattate. «Il nido di La Thuile si difende da solo – spiega Oreiller – perché si trova in una zona praticamente inaccessibile. Per Rhêmes il sindaco ha emesso un’ordinanza che vieta di salire una cascata di ghiaccio vicina e abbiamo chiesto ai piloti di elicotteri di modificare le rotte. Bisogna evitare di disturbare i volatili soprattutto dopo che hanno deposto le uova». Padre e madre covano le uova 24 ore su 24 per tenerle al caldo e se, disturbati, dovessero alzarsi in volo il freddo potrebbe danneggiare lo sviluppo del pulcino (la schiusa è prevista per fine aprile). Su tutto vigilano le guardie forestali e i guardaparco del Gran Paradiso, che più volte alla settimana controllano il nido. Turisti e residenti hanno accolto bene le limitazioni. «Abbiamo scelto la trasparenza assoluta – continua Oreiller – per spiegare a tutti l’importanza dell’evento». Per il futuro c’è l’idea di coinvolgere le scuole nella conoscenza di questo nuovo-vecchio ospite e, aggiunge Oreiller, «magari di installare una webcam per controllare la situazione e mostrarla a tutti». Nella speranza che, a luglio, due nuovi piccoli Gipeto possano spiccare il primo volo tra le montagne della Valle.

E relativo boxino

Il Gipeto (Gypaetus barbatus) ha sempre avuto una grossa sfortuna: assomigliare a un’enorme Aquila. E’ per questo motivo che tra Ottocento e primi del Novecento le popolazioni alpine dichiararono guerra alla specie. Lo chiamavano «Avvoltoio degli agnelli» convinti che predasse piccoli ovini, preziosissimi in tempi grami. Invece il Gipeto è un animale necrofago. Si ciba di carcasse: della carne ma soprattutto delle ossa, che afferra e lascia cadere da grandi altezze su rocce dette frantoi per poterne così assaporare il midollo, di cui è particolarmente ghiotto. E’ un uccello molto imponente, inserito nel gruppo degli avvoltoi ma con elementi (a partire dagli artigli) che lo avvicinano ai rapaci. Gli esemplari più grandi (sia maschi sia femmine) possono raggiungere il metro e 15 centimetri di lunghezza con un’apertura alare di due metri e 80 centimetri per un peso di sette chilogrammi. E’ molto longevo: fino a 25 anni allo stato brado e addirittura 40 in cattività. Le coppie sono monogame e il loro territorio può estendersi fino a 300 chilometri quadrati a seconda dell’abbondanza di cibo.

Written by andrea chatrian

10 gennaio 2011 at 19:53

La frase del giorno

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(…) I pericoli per la democrazia italiana sono sempre arrivati da destra, a partire dai tentati golpe e dalla strategia della tensione degli Anni 60 e 70. (…)

(Alessandro Pascale, leader dei Giovani Comunisti della Valle d’Aosta, lettera a La Stampa del 17/11/2010)

Certe volte un ripassino di Storia farebbe bene.

Written by andrea chatrian

17 novembre 2010 at 12:34

Chissà come erano gli altri

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Con questo logo il grafico Arnaldo Tranti, di St-Christophe, ha vinto il concorso lanciato per rappresentare le Dolomiti Patrimonio dell’Unesco. Ora, io di grafica capisco una cippa, quindi mi limito ad alzare un sopracciglio – non mi convince, ma così, di pancia – e a fargli i complimenti (qui un po’ di documenti scaricabili). A qualche pezzo grosso, però, non è piaciuto per un cazzo. E mica due quaquaraquà, ma Reinhold Messner e Oliviero Toscani. Il fotografo ha commentato con un sobrio: “E’ una vera schifezza“.

Ma Tranti se la ride. Ecco quello che ha detto a Cristian Pellissier, che lo ha sentito per La Stampa:

Se se ne parla tanto vuol dire che l’effetto è ottenuto. Il logo si presta a una doppia lettura, ma sono le Dolomiti stesse a presentarsi così, da sempre vengono paragonata a opere architettoniche. Lo stesso Messner ha ricordato come in un film del 1933 di Luis Trenker, grande regista di montagna, ci sia una dissolvenza con l’immagine che passa dalle Dolomiti ai grattacieli di Manhattan. (…) Per me è un gigantesco onore avere avuto queste critiche da Toscani, personalmente lo ritengo un troglodita: appartiene al secolo scorso. Noi del settore non lo consideriamo proprio, ha fatto opere interessanti negli Anni 70, poi ha lavorato molto con Benetton, ma per il resto è solo un ottimo provocatore. Quando è venuto al Forte di Bard sono andato a sentirlo, e non ha fatto altro che dire una serie di gigantesche banalità.

Written by andrea chatrian

14 novembre 2010 at 17:55

Sangue e humour con Joe R. Lansdale

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A contarle, sulle sedie di Villa Michetti a Pont-St-Martin c’erano meno persone di quanti romanzi abbia scritto lui in quasi 40 anni passati a far andare la fantasia. Ma Joe R. Lansdale – tra i più celebri e venduti scrittori di Noir (ma non solo) al mondo – è a suo agio come un mocassino acquatico nelle paludi del Texas Orientale. Parla per un’ora e mezza, con il suo accento che trascina le sillabe come la gamba di un vecchio zoppo. E incanta una platea che gli chiede di raccontare l’America profonda, quel mondo da cui germogliano storie dure, sporche e divertenti come il ciclo di Hap e Leonard (qui una piccola guida per i profani).

Ci sono così tanti “personaggi” nel Texas Orientale, che non è difficile trovare gente di cui scrivere – dice -. Siamo un grumo di cose diverse: c’è la cultura del Sud, quella Cajun, quella dei negri”. E un mix del genere dà sapori forti. “Leggo molto i giornali – continua – ma più che le headlines (le aperture, le storie importanti), soprattutto le notizie infilate nei trafiletti, perché c’è sempre qualcosa di strano che capita in giro. Spesso mi dicono: si sente che nei tuoi libri, sotto sotto, c’è la verità. Hanno ragione, è così. Morirò prima di finire di raccontare tutte le storie che voglio. E di storie, fino qui, Lansdale ne ha scritte a bizzeffe, misurandosi con i registri più diversi. Noir, western, fantasy che sfiorano la psichedelia, fumetti e sceneggiature. Tutti da divorare come un bel sacchetto di pop corn e tutti allo stesso tempo difficili da etichettare (ma mai da digerire). Tanto da aver costretto i critici a coniare lo stile Lansdale.

Uno dei temi che ritorna più di frequente nelle sue opere è il razzismo. Roba che scotta, in America. “Il razzismo è un tema universale, declinato secondo le diverse culture. Noi negli States abbiamo avuto lo schiavismo. Quando sono cresciuto io era finito ormai da tempo, ma i negri non erano neppure considerati uomini di seconda classe. Almeno di terza, quando non erano considerati come animali. Prima venivano i bianchi ricchi, poi la gente come noi che eravamo bianchi ma poveri in canna, infine loro, i neri. Ehi, non tutti erano d’accordo con quella situazione ma molti politici avevano paura di condannare il razzismo, e molti crimini restavano impuniti perché le vittime erano nere e i criminali bianchi”. E giù aneddoti. “Quando ero al liceo c’era un gruppo di ragazzi che la notte scendeva al quartiere nero e violentava le donne. Loro dicevano di farlo e io gli credo – dice serio –. La segregazione colpiva anche i veterani della Seconda Guerra Mondiale, non importava niente che tu avessi combattuto per l’Esercito degli Stati Uniti d’America. La gente aveva paura che se le cose fossero cambiate, tutto sarebbe andato all’inferno. Ma Rosa Parks era solo una donna che voleva prendere il suo dannato autobus. Sì, ok, ma adesso avete Obama, il capitolo è chiuso. “Niente affatto, il razzismo non è finito. Ha solo cambiato forma, adesso si presenta meglio. Obama è stato eletto con un plebiscito, ma guardate come si fanno sentire i suoi oppositori, a cominciare dai Tea Party, guardate come picchiano sulla storia del suo certificato di nascita. Anche quello è razzismo, perché lui è diverso dall’immaginario dell’Uomo Nero. La strada che abbiamo intrapreso noi americani non è né perfetta né conclusa. Di certo però è migliore di quella italiana”.

Ma Lansdale – o Champion Joe, se preferite – non era a Pont-St-Martin per una lezione sull’America. Lascia cadere un “ho anche scritto dei libri…” per riportare il confronto sulla letteratura. Sulla sua letteratura. Devil Red (il libro che è venuto a presentare alla Saisonnette, ndr) nasce da storie vere. Qualche tempo fa, non in Texas ma sempre negli Stati Uniti, un gruppo di persone decise di trasformarsi in vampiri: bere sangue, uccidere la gente, così per vedere com’è. E sempre negli Stati Uniti c’è stata una lunga serie di crimini “firmati” con un diavoletto rosso. Sapete, mi sono sembrate due cose perfette da mettere insieme per creare una storia”. Dal pubblico gli chiedono quanta influenza abbia avuto su di lui Jim Thompson, per via dei due stili molto simili. “Zero. Influenza nessuna, connessioni sì. Non avevo mai letto niente di lui, l’ho scoperto da un articolo di Stephen King. Jim Thompson era pazzo come me. La mia formazione passa da Chandler a Burroughs, da Hammett a Chester Himes“. Da tempo nessun americano vince il premio Nobel per la letteratura. “Io sono fuori da quei giri lì. A differenza degli altri anni conosco il nome del vincitore di quest’anno, ma non ho mai letto niente di suo”. Tra i nomi del toto-Nobel, Cormac McCarthy non manca mai. Tutti gli anni è lì. “Non mi piace molto McCarthy. Non ho capito che problema abbia con le virgolette (non le usa, ndr). Lo trovo troppo pretenzioso, ecco. Mi è piaciuto “Non è un paese per vecchi“, quello sì. Anche se ho avuto come la sensazione che dicesse “sto scrivendo un buon libro, adesso lo incasino un po’ per far capire agli altri quanto letterario sono“. McCarthy è bravo, ma non divertente. Tra le legioni di fans di Lansdale in Italia, c’è Niccolò Ammaniti (che un giorno ha scritto: “Consiglierei a un analfabeta di imparare a leggere per conoscere Lansdale”). E la stima è ricambiata: “Ho letto i suoi due libri tradotti in inglese, perché non so l’italiano. Ho letto anche Calvino e Dante, ma purtroppo solo in traduzione, peccato”.

Al pubblico regala confessioni. Sulla genesi delle sue storie ma anche su come ha modellato la sua coppia di cazzoni cerca guai, Hap e Leonard. Il primo (bianco, eterosessuale, democratico) a cui affida il ruolo di narratore, è quello costruito più a sua immagine e somiglianza: “Siamo stati entrambi oppositori alla Guerra del Vietnam, solo che lui è finito in galera. Io quasi”. Ma le cose più interessanti vengono fuori parlando di Leonard (nero, macho conservatore e fieramente omosessuale). “E’ stato un incidente. Non era pianificato, io non pianifico mai le mie storie. Ho lasciato che trovasse la sua voce. E’ saltato fuori quando vidi alla Tv un repubblicano nero, che allora (metà Anni 80) era come vedere uno scoiattolo leggere il telegiornale. Allora mi sono detto “wow!”, non avevo mai visto un repubblicano nero. Ora invece è normale, anche gli afroamericani hanno fatto i soldi e vogliono proteggerli. Comunque allora i repubblicani erano diversi: erano conservatori, ma non pazzi. Leonard sarebbe in imbarazzo a vedere quelli di oggi. L’omosessualità di Leonard (che in Devil Red è ancora alle prese con la sua storia travagliata con John) è stata una sorpresa anche per Lansdale: “Non sapevo fosse gay finché non me l’ha detto lui stesso. Io l’ho scoperto assieme al lettore”.

Il successo della saga ha sorpreso lo stesso autore. “Non volevo farne una serie, ma tre anni dopo il primo libro (“Una stagione selvaggia“) Hap ha ricominciato a parlarmi”. E lui ha ricominciato a raccontare. “Devo scrivere per me, io sono l’unico pubblico che conosco davvero. Poi spero che piaccia anche agli altri”. Prima di partire per la tournée in Italia – Paese che dopo gli Stati Uniti costituisce il suo mercato più grande – Lansdale ha firmato una nuova sceneggiatura (di “Una stagione selvaggia”). La sua scrittura e le sue storie sembrano nate per il cinema, ma non approdano quasi mai su pellicola. “Non c’è anno che passi senza che qualcuno opzioni una mia opera. L’hanno fatto registi come David Lynch, Ridley Scott e tanti altri ma poi, per un motivo o per l’altro, non se n’è mai fatto nulla. Per me non c’è problema, io intanto incasso gli assegni.

Tra Stati Uniti ed Europa non c’è solo l’Oceano Atlantico. In chiusura, una ragazza gli chiede – più o meno indirettamente – di condannare la pena di morte. Qui, lo sguardo di Lansdale si fa serio e il suo tono nero come il cuore di un banchiere. “Non sono contro la pena di morte, ma non sono neppure troppo favorevole. Non mi preoccupa per niente il senso morale, mi preoccupa come viene applicata (contro neri e poveri, soprattutto). Ecco, se vogliamo sono contro da quel punto di vista. Dovrebbe essere rara, per casi limite. Se credessi in Dio lascerei che fosse lui a pensare a certi figli di puttana. Ma io non sono credente. Amen.

P.S. Lo scheletro di questo post è già uscito su La Stampa (mercoledì 20 ottobre). Qui c’è solo un bel po’ di ciccia in più. Virgolettati, in particolare, che sono l’unica cosa che conta. Le foto sono di Daniela Giachino.

P.P.S. Siccome sono un tossico di Lansdale, beccatevi pure questo:

e questo:

Grandi Manovre

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Per non affogare, Berlusconi conta anche sui parlamentari delle minoranze linguistiche. Lo racconta Ugo Magri, sulla Stampa, nel suo pezzone di retroscena:

(…)Prima o poi le minoranze linguistiche (Svp e Uv) daranno l’appoggio, scommette speranzoso il premier, però più poi che prima… (…)

Che Fosson ci stia è facile (la governabilità in un momento di crisi, il senso di responsabilità e bla bla bla…), visti anche i movimenti nel ventre di Palazzo Deffeyes. Il problema del governo, però, non sono certo i numeri al Senato ma quelli alla Camera: Nicco salverà la ghirba del Caimano? Non ci scommetterei.

Intanto Rollandin, Fosson, i giannizzeri azzurri de-inque e B si stanno vedendo spesso.

Written by andrea chatrian

24 settembre 2010 at 11:55

Calci nel sedere

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Sulla Stampa bella intervista di Andrea Scanzi a Jorge Lorenzo, che non le manda a dire a Valentino Rossi. (E 10 punti in più al Martillo per il passaggio su Max Biaggi).

Anche Casey Stoner si toglie i guanti parlando di Lamentino. Riporto alcuni passaggi dal pezzo di Paolo Ianieri sulla Gazzetta di oggi:

(…) Gli chiedono se la Yamaha dovrebbe far provare a Vale la Ducati nei test di Valencia. Casey lancia il primo affondo: “Credo che dovrebbero. Ma non si stanno lasciando bene, lui è già lì che si lamenta e dice bugie sul trattamento che riceve. A questo punto perché farlo provare? Se poi non proverà e nelle prime gare del 2011 non vincerà, la userà come scusa. Mentre se dovesse vincere, si dipingerà come un genio“.

Calci nel sedere. Il secondo affondo è ancor più duro. Rossi ha dichiarato di non aver capito molto del potenziale Ducati, visto che Stoner nelle prove gira poco. Durissima la replica: “Non mi interessa la sua opinione. Al momento prende calci nel sedere dal compagno, pensi a quello. Qualcuno nel suo box fa un lavoro migliore di lui“. (…)

Siccome oggi pare sia il giorno delle interviste ben riuscite ai motociclisti (o ex), il Corriere ha questa bella chiacchierata con Manuel Poggiali.