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Giuseppe De Rita, presidente del Censis, dice alla Vallée Notizie delle cose interessanti sul “sistema Valle d’Aosta” e su come questo dovrà – se ci riesce – fronteggiare il cataclisma economico in atto. E’ un ragionamento di medio/lungo termine, costruito su argomenti che stravolgono la prospettiva, ormai calcificata, di rifugiarsi nel pubblico. La cosa importante è che certi concetti vengano ripetuti allo sfinimento. Chissà poi che qualcuno non decida di seguirli. Qui di seguito c’è cosa ha detto (grassetto mio) De Rita a Corrado Ferrarese:

(…) La Valle d’Aosta ha sempre vissuto, anche nella sua notevole agiatezza, su meccanismi di trasferimento di denaro pubblico; naturalmente se si stringe la borsa finanziaria è quasi naturale che ci sia una restrizione anche dei processi di formazione del reddito all’interno della regione. (…) L’economia reale in Trentino Alto Adige è più forte rispetto alla Valle d’Aosta in cui è preponderante il flusso di denaro pubblico. Con la crisi, un’economia reale debole che ha vissuto accanto invece a un’economia di derivazione pubblica molto forte probabilmente dovrà ridistribuire i pesi del proprio sviluppo. (…) C’è il problema di concezione di un modello che in cinquant’anni è cresciuto su se stesso. Cambiare modello in corsa non è facilissimo. può avvenire con un meccanismo di trasformazione lento: ad esempio aumentando i piccoli imprenditori, la qualità del turismo di un certo livello. Siccome buona parte della ricchezza italiana di questi ultimi tempi è data dal turismo di ricezione e da imprese che fanno export, occorre equilibrare anche in Valle d’Aosta questo elemento: cioè avere una ricchezza che venga dal turismo e dall’enogastronomia di eccellenza insieme insieme alla capacità di stare nella dinamica industriale italiana. (…) Se le vecchie generazioni erano abituate a un certo tipo di modello di sviluppo che difficilmente può portare a diventare un piccolo imprenditore, i giovani laureati e diplomati possono avere il gusto di fare qualcosa in proprio, di personale, di individuale e quindi di sperimentare la piccola e media impresa. Noi abbiamo educato i nostri figli, specialmente qui in Valle d’Aosta, ad una concezione europea che però è andata in crisi in questi ultimi mesi ed anni in maniera assoluta: non è facile dire ai ragazzi di oggi di sentirsi più europei. Oggi guardare al mondo è molto più complicato per la generazione che ha pensato che dopo l’Italia ci sarebbe stata l’Europa: c’è una molteplicità di poteri, di ricchezze, di modelli di sviluppo. Il vero problema è andarsele a vedere: i ragazzi di oggi non possono più studiare sui libri ma devono andare in giro.

De Rita parla domani al Giardino Ange di Courmayeur, alle 18.

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Written by andrea chatrian

13 agosto 2011 at 12:18

“Ca custa lon ca custa!”

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“Un grande successo” (boom!), “sono state le Olimpiadi dei militari, la rivincita di Vancouver” (ka-boom!), “un’accoglienza strepitosa” (ra-ta-ta-ta), “ha vinto la Valle d’Aosta” (e sticazzi!). Mr. Wolf non l’ha ascoltato nessuno e i cinque giorni dei primi Giochi mondiali militari invernali sono stati una maratona di pompini a vicenda. Da una parte la giunta regionale della Valle d’Aosta, dall’altra un battaglione di generali. Adesso, però, che questi Giochi sono andati in archivio, qualche considerazione si può fare. Del tipo: ma perché? A cosa sono serviti? E via discorrendo. Per prima cosa, però, sgombro il tavolo da tutte le menate pacifiste – quelle che le divise mi danno fastidio, voglio un mondo senza eserciti, poveri tibetani bastonati dai cinesi – e faccio lo stesso con la retorica a base di stellette e soldati che costruiscono la pace. Non mi interessano, non adesso. Se ne può parlare in un altro post, magari. Ma anche no.

Quando vai al ristorante, se proprio lo chef non ti ha servito rifiuti industriali spacciandoteli per capriolo, le somme (in tutti i sensi) cominci a tirarle quando arriva il conto. E qui l’addition fa un milione e 300 mila euro. Certo, siamo in Valle d’Aosta e con quei soldi il governo si compra le sigarette o decide di adeguare alle norme antincendio i laboratori del servizio Beni archeologici. Sciocchezze per chi maneggia ogni anno miliardi di euro, ma pur sempre un bel gruzzolo.

By the way l’antipasto – la cerimonia di apertura sabato 20 marzo – è stato regale (mica perché c’era Alberto di Monaco). Non c’è niente da fare, a me quelle robe lì piacciono un mondo: i paracadutisti che atterrano in piazza Chanoux davanti alla tribuna d’onore, la sfilata delle 42 delegazioni con i loro 800 atleti accompagnati da 500 bambini degli sci club, la Fanfara della Taurinense, Fratelli d’Italia, l’alzabandiera, il “Razzo” che quando entra in piazza la folla esplode perché negli occhi ha ancora il capolavoro di Vancouver, poi Marco Albarello che dà fuoco a una piccozza e accende il braciere. Bello, davvero. In tribuna mancava il ministro della Difesa ma lui quel giorno aveva cose più importanti da fare, una guerra vera da combattere. (Ah, il bidone di ‘gnazio e dei suoi pretoriani ha fatto imbufalire l’ex presidente della Regione, Luciano Caveri).

E’ appena dopo che le cose sono andate a puttane. Tu sei lì che dici: aaahhh, ora mi godo i campioni, non saranno proprio come le gare di Vancouver ma diavolo, poco ci manca. Anche perché leggi i comunicati stampa e ti dicono che vedrai all’opera gente come Giuliano Razzoli (l’unico oro ramazzato dall’Italia in Canada), Giorgio di Centa, Arianna Fontana e poi il fondista cannibale norvegese Petter Northug (due ori, un argento e un bronzo alle ultime Olimpiadi, mica pizza e fichi), il tedesco Tobias Angerer, lo svizzero Dario Cologna. Pezzi Grossi. Ok, non è che ti monti la testa, sai che questi mondiali sono la coda della stagione, che molti atleti sono bolliti e poi non è che ci siano proprio tutti. Nello sci alpino, per esempio, gli austriaci e gli svizzeri migliori (quelli che spaccano in Coppa del Mondo) non sono militari, fanno parte di club privati. Comunque sia, pur con tutti i limiti, lo spettacolo si annuncia buono. E invece un cazzo. Northug, Angerer e Cologna non si vedono. La bella Arianna Fontana è caduta nell’ultima gara prima dei mondiali, le hanno messo il collare e la sua stagione è finita. E’ in Valle, ma solo a fare il tifo per il suo fidanzato, l’alpino Roberto Serra. C’è la gigantista francese Tessa Worley, brava, ma non è mica Lindsey Vonn. Dio benedica Giuliano Razzoli: è l’unica superstar. Però… Scende nello speciale di Pila e si vede lontano un miglio che di quella gara non gli importa nulla di nulla… (video). Alla fine sul piano sportivo resta un 90 per cento di mezze cartucce (quando non proprio bidoni) e un 10 di buoni atleti. Nel biathlon l’ultimo arrivato, un libanese, ha impiegato il doppio del tempo del vincitore, facendo 18 (!) errori al poligono (e comunque c’è chi è riuscito a fare ancora peggio, tranquilli); nello speciale maschile si salvano i primi 10, il resto è a livello di una gara Fis. Niente di che, insomma (basta controllare le classifiche sul sito del Cism). L’Italia ha dominato il medagliere, ma questo dimostra solo due cose. La prima, che chi gioca in casa non vuole fare brutta figura e si impegna di più. La seconda, che in questo Paese lo sport invernale (ma non solo) professionistico passa dai gruppi militari.

C’è stata tanta gente per vedere i fondisti a Cogne; qualcuno per Razzoli a Pila, per lo slalom donne a Gressoney e per l’arrampicata sportiva a Courmayeur (bravo Flavio Crespi, bronzo); zero virgola zero per lo short track, sempre a Courmayeur. No, non sono stati un grande successo questi mondiali se il metro di giudizio resta quello della partecipazione del pubblico. E l’esposizione mediatica? Non pervenuta, o quasi. Qualche passaggio in televisione (ma nessunissima gara in diretta), qualche pezzullo qua e là sulla stampa sportiva nazionale. Ma se non ci fosse stato Razzoli…

Passiamo all’anello di congiunzione tra l’organizzazione e il pubblico: l’ufficio stampa/cerimoniale. Qui le cose si fanno, a tratti, tragicomiche. Martedì è annunciato un convegno su “l’Etica nello sport”. Annullato, senza dire niente a nessuno. Lo scopri nel pomeriggio, quasi per caso. Succede che tra gli ospiti ci doveva essere Stefania Belmondo, ma si è fatta male e non può venire. Addio Stefi, addio convegno. Ma così, sottovoce, piano piano, come piace a noi (cit). E poi cambi di programmi a raffica, Medal Plaza sgangherate – “premia l’assessore xxx” e dal fondo, come a scuola: “Non c’è…” – inni che partono, si fermano, ricominciano perché vai, no, ferma, alè adesso. Un guazzabuglio che ha ispirato anche un divertente post a Eddy Ottoz, l’ostacolista della libertà. E poi la perla che offre la dimensione del pressapochismo: c’è lo slalom speciale femminile in notturna (partenza della prima manche alle 19, ma naturalmente nel programma era alle 17) e la sala stampa chiude alle 20. “Spiacenti, tutti fuori”. Una roba che ti devi impegnare anche solo a pensarla, eh.

E allora l’unico senso di questi mondiali è una gigantesca azione di lobbismo. Con quel milione e 300 mila euro la Regione si è “comprata” il sostegno dei militari – facendoli giocare sulla neve – nella corsa ad assicurarsi un grande evento del Circo Bianco. Un modo per tentare di recuperare anni di politiche sbilenche (altro che “ostilità degli organismi internazionali”) e rientrare nel giro buono degli sport invernali. Di sicuro non sarà facile portare dalla propria la Fisi. Quelli hanno la memoria lunga, e il sostegno dato dalla Valle d’Aosta alla candidatura di Sion (Svizzera) contro Torino per l’assegnazione delle Olimpiadi invernali del 2006 non l’hanno ancora digerita (e ci mancherebbe, dico io). C’è poi un livello più profondo ancora, e qui lo sport non c’entra. A capo del Comitato organizzatore c’era Luigi Roth, manager dal curriculum lungo come il traforo del Monte Bianco ma soprattutto attuale numero uno di Terna, la società che controlla la rete elettrica nazionale. Un amico che può sempre tornare utile. Specie alla Cva.

Quindi? Per ora l’Imperatore è diventato anche Cavaliere (del Cism) assieme a Marguerettaz e a Roth (che era già Cavaliere di Grazia Magistrale in Obbedienza nell’Ordine di Malta, seppur con qualche grattacapo), il generale Gianni Gola ha una bella grolla nuova in ufficio e i gestori di 40 alberghi hanno lavorato una settimana in più. Il resto è una scommessa. Costata un milione e 300 mila euro.

P.S. Questo post era pronto da tre giorni, ma il pc ha deciso di boicottarmi per il fine settimana. Comunque, adesso che ho vinto il mio braccio di ferro con la tecnologia, scopro e aggiungo che Marco Albarello (direttore del Cse, leggenda del fondo azzurro nonché uno dei possibili candidati alle elezioni Fisi) mostra chiaro e tondo – in una lettera alla Stampa uscita oggi – il bersaglio grosso di tutta l’operazione:

(…) grazie alla Valle d’Aosta che ha dimostrato una volta di più (con piccoli accorgimenti) di essere pronta a organizzare quell’appuntamento che aspettiamo da molti anni (non sto parlando di Coppa del Mondo, ne abbiamo già organizzate di alpino di fondo, ecc. ecc.) sto parlando di Campionati del Mondo di sci alpino…

Ah, ecco.