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Popoli fratelli
Herr Landeshauptmann Luis Durnwalder, presidente della Provincia di Bolzano, ha annunciato che non festeggerà il 150° anniversario dell’Unità d’Italia: i sudtirolesi si sentono austriaci, non italiani e dunque ciccia. ‘Fanculo Cavour, il Risorgimento e Roma capitale.
Sarebbe interessante sapere cosa pensano di questa ennesima idiozia crucca gli autonomisti valdostani. Quelli che ogni occasione è buona per citare il modello altoatesino, quelli che – in maggioranza come all’opposizione – appena possono lanciano le tirate sui “peuples frères” rispolverando tutto l’armamentario delle radici francofone per marcare la diversità anche etnica rispetto al resto del Paese.
P.S. Intanto la posizione di Durnwalder ha fatto scoppiare un casino politico. Qui il durissimo editoriale dell’Alto Adige.
Aggiornamento/1: Ha parlato il presidente del Consiglio regionale valdostano, Alberto Cerise: “L’Italia e’ nata in Valle d’Aosta, Piemonte e Savoia e quindi partecipiamo alle celebrazioni per i 150 anni dell’Unita’ d’Italia con la presenza anche, in autunno, del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ho personalmente invitato per l’anniversario (…). Nessun valdostano penso possa sentirsi francese“.
Aggiornamento/2: E’ intervenuto anche l’ex presidente Luciano Caveri: “(…)Partecipare a qualunque tipo di festeggiamento ha senso dunque per capire meglio la nostra storia e, per quel che mi riguarda nella logica di giuramento di fedeltà alla Costituzione e allo Statuto, per rimarcare come l’opzione federalista (quella vera e non i “tarocchi”), nel passato come oggi, sia l’unica vera alternativa ad un traballante Stato unitario. Altrimenti ci sarebbe poco da festeggiare”.
Sarà che a Natale siamo tutti più buoni
Un mesetto fa, il deputato valdostano Roberto Nicco attaccava così il ministro leghista Roberto Calderoli:
Devo fare i complimenti al ministro Calderoli per la determinazione e la tempestività. In una nota intervista a “Libero” di qualche mese fa dal titolo rivelatore, “Così la Lega sta smantellando le Regioni a statuto speciale”, il ministro diceva, “certo, uno dice meglio abolirle le Regione a statuto speciale, ma la legge non lo consente”. E allora, intanto, tagliamo loro le risorse. E’ esattamente ciò che state facendo. Nel 2017 la Valle d’Aosta subirà una riduzione delle risorse disponibili superiore al 10 per cento. (…) Se l’obiettivo era tagliarci le risorse non serviva proprio scomodare il federalismo, mascherarlo dietro questo termine che rappresenta tutt’altro, come ha riconosciuto anche Fini definendolo “privo di senso” senza una trasformazione istituzionale, senza quella Camera delle Regioni che le minoranze linguistiche da gran tempo propugnano in quest’aula. (…) Su questo terreno, un po’ più arduo dell’impegnare la scure contro Regioni e Province autonome, avremmo voluto vedere uguale determinazione e tempestività, caro ministro Calderoli, e invece zero». (La Stampa, 17 novembre 2010)
Parole come pietre, le ultime dopo un braccio di ferro sul federalismo che dura dall’inizio della legislatura. Poi ieri a Montecitorio si votava la mozione di sfiducia per Calderoli presentata dall’Idv. E il Nicco furioso? Astenuto.
La politica gnègnè
Secondo il professore Mario Rey (ordinario di Scienza delle finanze all’università di Torino):
La Regione Valle d’Aosta non ha autonomia impositiva e vive di finanza derivata, trasferimenti dello Stato che la mettono in condizione di dipendenza. Un’autonomia di questo genere rischia di essere soggetta a un grosso condizionamento politico.
Insomma, poche storie, se non puoi far pagare tasse locali l’autonomia è finta. Piuttosto chiaro, e non serve neppure un master alla London School of Economics.
Leonardo La Torre, capogruppo della Federazione autonomista, l’ha presa molto male e risponde con una lettera alla Stampa. E giù un pippotto, che però non sfiora neppure per sbaglio il nocciolo della questione:
«(…) l’unica cosa che pare finto è il buonsenso del professore».
Le sue valutazioni, a mio avviso azzardate, sono anche poco rispettose della storia, della cultura, del bilinguismo, del sentire autonomista del popolo valdostano e tendono a confondere con facili parole autonomia con economia.
Autonomia, non solo sancita dalla Costituzione italiana e dallo Statuto Speciale, ma conquistata dall’impegno sociale e politico di generazioni di uomini e donne valdostani che si sono impegnate prima per ottenerla e poi per difenderla contribuendo anche con grandi intuizioni, in tempi non sospetti, alla costruzione di un vero federalismo.
Il «modello valdostano», il riparto fiscale, il Pil della Regione sono generati dal lavoro quotidiano del popolo valdostano e non da fantomatici «sostegni romani»; questa ricchezza torna a disposizione dei cittadini nel bilancio regionale per i loro legittimi bisogni e una meritata qualità della vita; il bilancio regionale è pubblico e basta leggerlo!
Concludo dicendo che il concetto di autonomia non può essere pesato, tanto meno nella ricerca di un corretto equilibrio fra la nostra Regione e lo Stato italiano con le sue responsabilità e le sue problematiche. L’autonomia resta un sentire la propria terra, storia e la propria identità, perciò mi dispiace intendere che il professore in questo caso è affetto da sordità. (…)
Che è come dire che ti mantieni perché la mamma ti dà la paghetta se porti fuori la spazzatura.
La cura dimagrante
Mentre in Valle d’Aosta si sfida il senso del ridicolo cianciando di “lunghi viaggi onirici al di là delle persone“, di Keynes e di iniezioni di cemento per regalare all’Aosta Capitale dell’Autonomia la sua bella metropolitana, c’è qualcuno a Roma che sta affilando – giustamente, dico io – i coltelli:
(…) …E le Regioni a statuto speciale? In Trentino sono riuscito a ridurre i trasferimenti annuali di 1,3 miliardi. Tra 15 giorni toccherà andare in Val d’Aosta; sto trattando per ridurre i loro di 180 milioni. Poi toccherà alla Sicilia, lì sarà un casino. Conto di portare a casa un risparmio di 2,5 miliardi che non sono una tantum ma per sempre. Cerco, col federalismo, di rendere via via più speciali le regioni ordinarie e più ordinarie quelle speciali. Il problema delle Speciali è che per legge devi patteggiare tutto con loro, ci vuole il consenso per ogni modifica. Spesso l’ottengo instillando il buon senso col ricatto».
Come sarebbe, col ricatto?
«Si, faccio il delinquente, lo ammetto. Lo sa che le Regioni a statuto speciale prendevano l’Iva sull’importazione nonostante, col libero mercato, questa non esista più? Però, per esempio, Bolzano doveva avere 7 miliardi e non voleva sentire ragione, né crisi né altro. lo me ne sono fottuto e intanto gli ho bloccato i trasferimenti, così siamo arrivati a trattare. Certo uno dice: meglio abolirle, ma la legge non lo consente, intanto cominciamo a tagliare piano piano i privilegi. Il vero problema è stata la modica del titolo della Costituzione, fatta da quegli altri». (…)
Parole e musica del leghista Roberto Calderoli, ministro per la Semplificazione normativa, intervistato per Libero da Francesco Specchia. Qui trovate il pezzo integrale uscito domenica 9 maggio, qui invece un approfondimento condito da tanti bei numeri fatto da Il Velino.
E buona alleanza a tutti.
E a me che me ne viene?
Dai, ormai si sa, è tutto fatto. Mancano solo le pubblicazioni di matrimonio ma gli autonomisti di governo, per le elezioni comunali di Aosta, si sono fatti sedurre dalle carinerie del Partito dell’Amore e dalla lussuria di una Lega che ce l’ha sempre più duro. Il motivo? “Un posto privilegiato per trattare a Roma” (Ego Perron, presidente Uv), “un modo per non subire” (Leonardo La Torre, n°1 della Federazione autonomista). Così l’hanno spiegato a Enrico Martinet (La Stampa, 31 marzo). Tradotto: è questione di soldi. Solo che pare brutto metterla giù così e allora bisognerà “trovare profonde motivazioni sul piano politico” (Rudi Marguerettaz, segretario della Stella alpina). Buona fortuna. In un editoriale sul Peuple, rilanciato anche dall’agenzia Ansa, ci prova Ego Perron ribadendo il discorso fatto il giorno prima con La Stampa:
(…) Una delle parole che circolano di più nei commenti dei leader politici nazionali è “ora è arrivata l’ora delle riforme”. Una delle prossime riforme che riguarderà le regioni sarà il federalismo fiscale, espressione che si usa sovente e di cui pochi conoscono il vero significato. Dopo ci saranno tutte le altre riforme, quel profondo e radicale processo che ridisegnerà radicalmente la repubblica italiana, le regioni, gli organi costituzionali, per esempio il famoso Senato federale». «All’interno di questo processo noi pretendiamo come Valle d’Aosta di essere presenti, di partecipare alla discussione, di sederci al tavolo per far valere le nostre ragioni, di portare le nostre motivazioni, le nostre idee, di parteciparvi in qualità di protagonisti e non di subire le decisioni»
A leggerlo in filigrana, l’accordo è un Cavallo di Troia. Offrire Aosta per entrare nella stanza dei bottoni a Roma e lì provare a controllare da vicino (in altre parole, annacquare) la nascita di quel federalismo che Bossi dice di voler rilanciare (ma quasi 15 anni di governo a che sono serviti?). E tutto in fondo per proteggere con le unghie e con i denti una rendita di posizione, perché se il modello Valle d’Aosta venisse esteso alle altre regioni sarebbe difficile continuare a vedere garantito lo stesso fiume di denaro che, puntuale come un assegno di mantenimento, arriva da Roma. Non c’è nessuna scintilla nella parole di Perron, non c’è prospettiva, non c’è visione di insieme. Manca la Politica. C’è solo un catenaccio che neanche il Trap. Il puntorossonero parla di darwinismo applicato, cambiare per sopravvivere. E nel gioco della torre, al momento di scegliere se salvare la storia o la cassaforte è stata preferita la seconda. Per carità – e questo è un discorso moooolto più generale – gli ideali non si mangiano, a lungo andare puzzano e vanno aggiornati, ma una politica che li dimentichi (o li sacrifichi) con troppa facilità perde forza e si chiude su se stessa. Muore. Non si può ridurre tutto al compromesso e alla realpolitik.
La “svolta” è dunque, prima di tutto, culturale: è l’affermazione cinica e spudorata dell’egoismo localista, senza neppure più l’antico mantello della “battaglia di libertà”, quel tocco di ipocrisia che serve a salvare la forma. L’abbraccio con la Lega – prima ancora che con Berlusconi – a questo punto è la naturalissima conseguenza della scelta di difendersi da tutto ciò che è altro, dalla novità, dall’evoluzione. Leggetevi questo bel post di Giovanni (a cui prendo in prestito il titolo) su che cosa sia davvero la filosofia di fondo del Carroccio. Io ci vedo similitudini interessanti con quanto sta succedendo qui.
C’è poi, credo, anche una chiave di lettura tutta interna al Leone. L’operazione di allearsi con il partito di plastica è infatti la definitiva affermazione del dominio assoluto di Augusto Rollandin sull’Uv e i suoi satelliti: l’Imperatore è sempre stato più vicino al centrodestra, in contrapposizione alla corrente viériniana più “socialdemocratica” ma ormai estinta. Il fatto che questo sia il secondo tentativo a stretto giro di boa (dopo l’apparentamento con gli azzurri per le Europee, bocciato dagli elettori), dimostra ostinazione nel voler imporre un preciso disegno politico. Ma d’altronde “ora o mai più” visto che la partita si gioca solo ad Aosta e in condizioni molto più favorevoli rispetto al 2009: la fronda degli Intransigenti (quelli che fanno i difficili e ancora si richiamano all’antifascismo come radice dell’Uv) è forte nelle vallate ma non nel borghesissimo capoluogo, da anni molto più sensibile sia agli scenari nazionali sia all’appeal del centrodestra. Il soffio della valanga padana potrebbe arrivare potente in città e condurre finalmente in porto il progetto lanciato un anno fa dal vertice rossonero. Una volta presa Aosta, la strada sarebbe aperta. Con un’alleanza forte nel centro più importante sarebbe poi molto facile proporre per le Regionali 2013, a un elettorato ormai abituato alla coesistenza, lo stesso asse autonomisti-destre. Senza contare la possibilità di un immediato appoggio esterno del Pdl in Consiglio Valle. Et voilà! Non tutti, all’interno del partito rossonero, hanno preso bene tanta veemenza nello spostamento dell’asse di governo. Come Luciano Caveri, che dal suo blog tuona (contro la forma per colpire la sostanza):
(…) In passato – con le complicate procedure previste da modelli democratici – si sceglieva la linea politica e poi si facevano gli editoriali, ma si vede che sono démodé perché oggi si indica la linea prescelta sul giornale di partito e gli organi statutari ne discutono ex post, tipo mettere il timbro postale su di una lettera già scritta. È il decisionismo, ragazzi.
Comunque fate quello che volete, basta che poi diate un assessorato a E. V.. Anche solo per lo spettacolo in aula.
Silenzi
Gironzolando alla ricerca di qualche link per arricchire il post precedente mi sono imbattuto in questo video:
Beh, confesso che mi è piaciuto. Per un motivo in particolare: non parla nessuno. Solo belle immagini, un po’ di musica (stile new age, però vabbè) e una spruzzatina di grafica all’inizio. Proprio perché “le parole sono importanti” vanno usate con moderazione e quando ne puoi fare a meno è meglio ancora. E in questo video c’è l’essenza della Valle d’Aosta: un bel posto. E basta. Senza la retorica unta, le seghe sul particolarismo, il francese, l’autonomia e bla bla bla.
Bravi.
Una faccia, una tazza
Io pensavo che quelli di Esprit Valdotain fossero scomparsi, travolti dal ridicolo. Invece mi sbagliavo. Sulla Stampa di oggi c’è un’esilarante lettera firmata da Valerio Sedran. L’ultimo attacco alle radici francofone del fiero popolo valdostano, l’ultimo rigurgito di fascismo, viene dai cartoni del latte.
Tous les valdôtains ayant une once de sensibilité à l’égard du français, et ils doivent être nombreux si l’on s’en tient aux résultats des dernières élections régionales, ont sans doute remarqué la suppression soudaine du français des boites de lait frais de la centrale laitière d’Aoste. Le constater ne résulte pas d’un désir de polémiquer avec l’entreprise en question, mais d’une exigence de lucidité. Il va de soit que nous ne voulons pas juger des choix effectués par une entreprise qui, bien entendu, doit garder pour elle-même la liberté de disposer de son avenir. Cependant, il est légitime de se demander à quelle stratégie de marketing peut bien se rattacher le choix d’éliminer d’un simple coup d’éponge la langue millénaire de la Vallée d’Aoste. Être un humain, c’est vivre au cœur de l’humanité, au contact des autres. Au nom de quelle conception de respect a-t-on effacé la langue du cœur d’une partie de la population de ce coin de la planète? La question que nous avançons est d’autant plus pertinente si l’on pense au fait que cette semaine la Vallée d’Aoste a prévu un riche programme d’événements sensés célébrer la journée internationale de la francophonie, une journée dédiée à notre langue française et célébrée par les quelques 200 millions de francophones éparpillés sur les cinq continents. Triste façon de célébrer un événement de portée mondiale que de constater la totale indifférence de l’opinion publique face à l’élimination pernicieuse des rares écritures françaises qui avaient survécu à la vague ravageuse de l’italianisation dont la violence se mesure au peu de bruit que font désormais ces actions au désagréable arrière-goût de fascisme, qui finissent immanquablement par se briser dans un silence assourdissant.