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Così lontani, così vicini

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Mario Andrigo di mestiere fa il sostituto procuratore alla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, la prima linea nella lotta alla ‘ndrangheta. Di ‘ndrine, affari e politica se ne intende, ha il polso della situazione. Venerdì sera era ad Aosta per parlare alla Cittadella dei Giovani (invitato dall’associazione Libera e dall’Arma dei carabinieri) e presentare il libro scritto assieme al giornalista Lele Rozza. Qui di seguito metto un po’ di cose che ha detto e che sono state riportate dalle agenzie di stampa (ne parliamo anche sul giornale).

La Valle d’Aosta, come altre regioni del Nord Italia, è permeabile alle cosche in quanto realtà socio-economica che ritiene la ‘ndrangheta un fatto di recente scoperta. Non si può pensare alle mafie come a dei corpi estranei da respingere, ma è necessario affrontarle per estirparle, perché probabilmente sono già presenti. Anche qui negli anni passati ci sono stati processi alla ‘ndrangheta, dunque non bisogna limitarsi ad assumere un’aspirina ma è necessario sottoporsi a esami clinici più invasivi, altrimenti non si riesce a intervenire in modo efficace.

E fin qui, ok (voglio dire, son cose di cui si è parlato spesso negli ultimi anni). Ma c’è un altro passaggio che dovrebbe far riflettere davvero in una regione dove il motore economico e sociale è la pubblica amministrazione (e quindi la politica):

Il problema che si vive in Calabria non è tanto il controllo diretto della ‘ndrangheta sulla politica, quanto il fatto che la politica sia interamente vissuta come un modello per trovare un’occupazione e per accedere a un sistema di crescita progressiva che si realizza portando più voti di altri a un determinato candidato. In questo modo non si tutela solo il proprio interesse ma anche quello di amici e parenti, creando un vero e proprio sistema di clientela. Infiltrazioni e collusioni delle cosche, in assenza di questo sostrato, probabilmente non sarebbero così gravi.

Ah, tanto per stare tranquilli ha parlato anche Guido Di Vita, il comandante regionale dei carabinieri che prima di assumere il comando in Valle d’Aosta era di servizio proprio a Reggio:

Dopo l’omicidio di Natale a San Luca, che aveva fatto ricominciare la faida con la Strage di Duisburg, partirono telefonate da e per la Valle d’Aosta.

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Written by andrea chatrian

15 ottobre 2011 at 23:52

Il bavaglio visto da qui

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La sciagurata legge anti intercettazioni voluta dal Pdl avrà effetti devastanti anche sulla già malandata giustizia valdostana. Di seguito il pezzo che ho scritto per La Stampa, edizione regionale, uscito domenica 13 giugno.

Qualcuno ricorda le «Tome Visitors» – verdi come gli alieni mangiatopi della serie tv – che il caseificio artigianale di Eliseo Duclos cercava di far arrivare nei negozi? La Legge Bavaglio, appena passata al Senato e ora in attesa del «sì» della Camera, sarebbe stata la migliore alleata dei formaggi “spaziali” e di chi cercava di piazzarli consapevole dei rischi per la salute delle persone («sono proprio un fuorilegge», dice Duclos in una conversazione ascoltata da Forestale e procura). Non sarebbe stato possibile raccontare quelle telefonate, spina dorsale di un’inchiesta che ha portato alla luce il marcio di una parte (piccola, per carità) del mondo agricolo valdostano e i suoi rapporti troppo affettuosi tra controllati e controllori, tra allevatori con mucche risultate contaminate («…sì anche sulle mie l’altra volta aveva dato un + e io le ho macellate…»), laboratori analisi che truccano gli esami («sai che Rosella vuole che quelli positivi non li registriamo…»), casari che spacciano Fontine guaste e veterinari che falsificano verbali. Ma l’inchiesta sul bestiame – il bubbone scoppiò nell’autunno 2009 – è solo l’ultima della fila. La storia giudiziaria valdostana degli ultimi anni è costellata di «casi» di cui l’opinione pubblica, con le nuove norme, sarebbe stata tenuta all’oscuro. E quasi sempre si parla di giri loschi su appalti pubblici. Nel 2004 i magistrati aostani scoprirono un «cartello» di imprese edili che, al telefono, si spartivano gli appalti. «Così poi avevo sta gente… e ho fatto… e ho visto anche il discorso… di Gressoney… con loro… tanto se una mano lava l’altra tutte e due si fottono l’asciugamano». A parlare era l’impresario aostano Giuseppe Amato, 53 anni, intercettato dalla polizia mentre discuteva con un collega di Borgofranco d’Ivrea. Niente tangenti in quell’inchiesta, ma accordi sotterranei sulle offerte al ribasso. Per lavorare tranquilli e tenere lontani imprenditori indesiderati. Amato patteggerà poi un anno di carcere. Nel caso di Luigi Bassignana le mazzette (sostanziose) passarono eccome di mano e gli inquirenti ne sentirono il fruscìo via telefono. Bassignana, funzionario all’Ufficio Difesa del suolo venne beccato nel 2003 a intascare tangenti per affidare i lavori del post alluvione. «E’ una mafia» – diceva al telefono un imprenditore infilatosi nel sistema – che venne scoperta intercettando. Il funzionario nel 2006 ha patteggiato un anno, 11 mesi e 10 giorni. E si può risalire fino all’ultimo grande scandalo politico tangentaro, il «caso Maccari» (o «l’affaire ritiri» per chi vuole dargli un tocco di francesismo). Anche quell’inchiesta, che nel 2002 decapitò il vertice della Regione e mise a nudo un sistema disinvolto di gestire fatture tra assessorati per pagare ospitalità da Mille e una notte a giornalisti compiacenti (da Monica Setta a Francesca Cosentino) e ad amici degli amici, era fondata sulle intercettazioni. Fece finire nei guai pezzi da 90 della politica locale, da Claudio Lavoyer (ora assessore regionale alle Finanze) alla sua segretaria Patrizia Carradore (fresca di nomina ad assessore comunale nella giunta Giordano) fino all’ex presidente Dino Viérin. Raccontarla, sarebbe stato quasi impossibile. Ma il vero guaio, secondo un inquirente in prima fila nella lotta all’illegalità, è un altro e ben più grave. «Nessuna delle più importanti inchieste condotte in Valle negli ultimi venti anni avrebbe visto la luce con queste norme». A strangolarle nella culla sarebbe stato il taglio dei tempi di ascolto a 75 giorni allungabili di tre giorni in tre giorni con miniproroghe. Tutte le indagini condotte ad Aosta (l’elenco è molto più lungo di quelle citate) hanno dato i loro risultati dopo, come minimo, tre mesi di ascolti. Che si sia trattato di corruzione, turbativa d’asta o traffico di droga. Con il Bavaglio voluto dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, poi, non basterà più chiedere l’autorizzazione al gip. I magistrati aostani dovranno rivolgersi al tribunale di Torino, mandare ogni volta giù un’auto con le carte e recuperarle dopo il «sì» o il «no». Come loro dovranno fare tutte le procure del Piemonte con il risultato che Torino rischierà il collasso. «Di fatto, è un colpo di spugna».

Written by andrea chatrian

14 giugno 2010 at 13:51